SETTIMO MARE
Se la mia salvezza sta nel divenire sterile guscio d’ostrica, subdola murena, velenoso scorfano, m’inarco e m’immergo nel mio azzurro per riemergere in me.
*
Occhi di scoglio
lapidano i portatori d’acqua di palude,
assetati d’acqua schietta e fresca,
un tempo abbondante nelle fontanelle,
ora rare nell’aria rosa del tramonto,
non ancora trafitto da fascio lunare.
*
Oppressa da massa/ Asfissiata dai fumi
spalanco all’ossigeno
al canto del vento/ Voce del mare/
che dissala le lacrime
per l’Amore volato/ violato.
Carezza di brezza/ Inondata da spruzzi/
deterge le gote e aspira le membra,
in sentieri di osmosi/ simbiosi
disperdo le ansie
ritrovo il piacere/ Riprovo a rinascere.
*
La donna dell’isola
è donna di ghiaia di riva rappresa,
è donna di mare
rena che sparse il suo sale
sul manto marino
è occhi innocenti arrossati,
sale asperso dal moto di libere onde,
è tempo che entra ed esce dal cosmo,
al variare del vento,
è amore sulla rena
della piccola spiaggia,
sotto cori invocanti la pioggia.
La donna di mare è uno strano animale,
oltre il canale allunga il suo sguardo
e poi si ritrae
oltre l’alone solare, oltre l’ibisco
si stende supina
la donna dell’isola
è la Signora dell’acqua
è isola stessa.
Ella muta e rimane se stessa.
*
Il vespro allarga ancora il suo velo,
e sul terreno, giallo ocra sbiadito,
si frantumano le terrecotte incrinate,
si rivestono di smeraldo le coste;
primizia trapela dal pesco rosato;
nella macchia, una fila di fate
dona al tempo neonato, tre melagrane
e una coppa di succo del frutto rubino
con l’auspicio che il vespro s’appisoli
e tardi a spianare il suo velo.
Là, oltre le onde evanescenti torno a esistere, all’alba, come cristallo di salsedine e il mare e mi avvolge e mi veste di trine.
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