martedì 3 aprile 2007

SETTIMO MARE




Se la mia salvezza sta nel divenire sterile guscio d’ostrica, subdola murena, velenoso scorfano, m’inarco e m’immergo nel mio azzurro per riemergere in me.



*

Occhi di scoglio

lapidano i portatori d’acqua di palude,
assetati d’acqua schietta e fresca,
un tempo abbondante nelle fontanelle,
ora rare nell’aria rosa del tramonto,
non ancora trafitto da fascio lunare.

*

Oppressa da massa/ Asfissiata dai fumi

spalanco all’ossigeno

al canto del vento/ Voce del mare/

che dissala le lacrime

per l’Amore volato/ violato.



Carezza di brezza/ Inondata da spruzzi/

deterge le gote e aspira le membra,

in sentieri di osmosi/ simbiosi

disperdo le ansie

ritrovo il piacere/ Riprovo a rinascere.

*

La donna dell’isola
è donna di ghiaia di riva rappresa,

è donna di mare
rena che sparse il suo sale
sul manto marino

è occhi innocenti arrossati,
sale asperso dal moto di libere onde,

è tempo che entra ed esce dal cosmo,
al variare del vento,

è amore sulla rena
della piccola spiaggia,
sotto cori invocanti la pioggia.

La donna di mare è uno strano animale,
oltre il canale allunga il suo sguardo
e poi si ritrae

oltre l’alone solare, oltre l’ibisco
si stende supina

la donna dell’isola
è la Signora dell’acqua
è isola stessa.

Ella muta e rimane se stessa.

*

Il vespro allarga ancora il suo velo,

e sul terreno, giallo ocra sbiadito,

si frantumano le terrecotte incrinate,

si rivestono di smeraldo le coste;

primizia trapela dal pesco rosato;

nella macchia, una fila di fate

dona al tempo neonato, tre melagrane

e una coppa di succo del frutto rubino

con l’auspicio che il vespro s’appisoli

e tardi a spianare il suo velo.




Là, oltre le onde evanescenti torno a esistere, all’alba, come cristallo di salsedine e il mare e mi avvolge e mi veste di trine.

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