martedì 3 aprile 2007

POST SCRIPTUM

La sala odora di caffè e brioches.

Sulle poltrone i passeggeri
della prima corsa si appisolano.

Il buio sbottona il suo abito
per far posto alla luce.

Accosto la porta e muovo in avanti
a scoprire l’orizzonte,
per scoprire che l’orizzonte non è.

Il confine tra mare e cielo
non è che una massa informe
dal colore rosa, pelle rosa di neonato.

Ed è lì
nella mia solitudine
che non è solitudine,
immersa nella natura
che non è natura,
su una nave in navigazione
comprendo di essere il gabbiano
alla ricerca di cibo
tra le onde morbide prodotte dall’elica.

E lì non servono domande e risposte.
Non serve niente nella culla d’acqua.
Non serve niente.

Sulle panchine di plastica, asciugo,
con un fazzoletto, la guazza salmastra,
ripetendo lo stesso identico atto
di milioni di persone che nei secoli
si sono mosse in mare all’alba.

La costa sparisce,
la nave è in mare aperto.

Seduta allungo le gambe,
mi stringo nel piumino per offrire
al vento solo la pelle del viso.

Ed è lì
tra male e cielo, nell’ora in cui
la foschia si unisce ai primi raggi,
nell’ora in cui l’orizzonte
è un riflesso sfumato
che mi appartengo.

L’orizzonte è nel profondo
Io sono l’orizzonte.

Nessuno, neanche la mia carne,
potrà rapirlo e farlo suo.

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