venerdì 6 aprile 2007

IOMARE


Numero 2 della collana libero di stile

copyright ©
Liberodiscrivere
Studio64 srl Edizioni Genova
prima edizione Luglio 2004

Questo libro è reperibile su:
www.liberodiscrivere.it

la fotografia in copertina è di Gloria Chilanti

La riproduzione, anche solo parziale, di questo testo, a mezzo di copie fotostatiche o con altri strumenti, senza l’esplicita autorizzazione dell’Editore, costituisce reato e come tale sarà perseguito.

Ai miei figli



Alessandra Palombo


I O M A R E

Fotografie di Gloria Chilanti

Introduzione di Manrico Murzi

Nota di Giorgio Weiss




Il percorso acquatico si srotola in orizzontale, curvo per quanto è tondo il pianeta che ci sopporta.
La questua, patita di mare in mare, richiede l’ausilio di un remo-bastone per spingersi tra le onde della memoria: quel bagaglio di passioni, pensieri e palpiti idonei, anche se scompigliati talvolta, a svelare noi a noi stessi affinché si arrivi a conoscere l’essenza del nostro Sé: “cerco me, nel mio mare,/ per capire chi io sia”.
Remo-bastone sono i brani del cantore più amato, Teognide o Achmatova, come le riflessioni meglio incise nell’animo in moto di pellegrinaggio; e persino gli stralci di cronaca o i suggerimenti offerti da qualche giornale a salvaguardia del nostro benessere fisico.
L’unica verticalità è quella che a precipizio va incontro al fondale dell’acqua interiore: ambito esclusivo nel quale guazza lo spirito nella sua smania verso il Settimo Mare; laddove il remo-bastone, deposto, non compare, né serve più, giacché acqua-salata e coscienza-di-sé formano quel tutt’uno chiamato Iomare.
Il gabbiano, gatto che vola, cerca ancora una salpa o una mèndola per la propria fame, ma la ricerca non impegna oltre, né chiede ulteriori risposte.
La geometria delle stelle e dei battiti cardiaci, necessario aiuto alla tribolazione del navigare, è contenuta in un unico cielo senza un Profeta che lo voglia scalare. La metafora deambula il mare al plurale, quella raccolta delle acque alla quale il Padreterno appioppò il nome di “Mari”.
L’evoluzione della gagliardìa vitale ha la sua trama nei liquidi, anche in quello del sangue aggrumato che talora si squaglia e si sparge nello spiazzo consacrato a tempi laici di devoto rigore e religioso rispetto.
Così nel Primo Mare lo spirito, attore scanzonato e immaginifico, alita tra i “capelli spettinati” di un’infanzia in posa, quindi ancora condizionata da una motivata vanità: “modificare la cornice del mio seno”, si chiede.
Le prime bracciate nel sale liquido sono indolenti e lente, foderate di sonno. Ma “l’energetico miele di ecucalipto”, maestro di possessione, ha forza di pazienza nell’attesa dell’impatto con il femminino: l’abbraccio sarà cosmico, in unità di anima e corpo.
Vi è poi il rito della purificazione, come all’ingresso di un recinto sacro, e il momento di cogliere i significati che anelano ai segni vitali, utili per “penetrare la trama del destino”.
Il “poeta ormai cieco” ha buoni gli occhi dell’anima, e gioisce con agio del vento che disfa corolle di fiori e ciocche di capelli, del giuoco che corre sui prati e giù per le valli: Oh, il mare amniotico!, nostalgico inciampo d’ogni essere umano.
Nel Secondo Mare la solitudine e la dispersione dei punti di riferimento diventano angoscia lontana, e i sapori di mare e di terra circolano nelle stanze del cuore più che tra le pareti dello stomaco. Intanto il desiderio spinge ancora oltre le sue occhiate, mentre persone e cose di un amato circuito urbano, qual è in questo caso la Livorno di tempo addietro, rotolano suoni e inciampi graditi.
Nel Terzo Mare, dopo stagioni clementi, è l’inverno che infuria, al punto che lo spirito si fa una girata in groppa a un gabbiano, mentre “pesci azzurri sprizza...no / gocce d’argento”.
Qui si leva l’ode alla navigazione, una delle più belle mai ascoltate: la vita sui bastimenti a vela e i vecchi del mare: si chiamino essi Colombo o Papà Pennello… Il ritorno è sempre all’isola, l’ago della bussola punta allo “scoglio”: all’Elba come a Itaca.
Nel Quarto Mare, in acqua pescatoria, la voce la danno granchi, spugne, polpi: battiti di chele, soffi di piccoli polmoni liberati, guizzi di alette e schizzi di tinticcio… interiorità dedite all’espressione. E sono vive e pulsanti le alghe e le barche, i sassi di fondo e le banchine, le velelle e le petroliere, le darsene e gli oceani.
Nel Quinto Mare vi è smarrimento, sì, ma piena percezione del proprio corpo come barca che ci porta: “a te, acqua, / offro il mio corpo, / a te, onda, di giocare con la nuca, / a te, mare, / di sommergermi, tutta / al largo”.
Nel Sesto Mare, vibra la luce e l’intreccio di fibre e significati patito e operato da dita assidue. Vi è colloquio, finalmente vibrante, e la bella immagine di un atto amoroso: “Un faro e la luna a baciarsi nel buio e / via tra i flutti a rotolarsi le gocce”.
Nel Settimo Mare è la catarsi, l’appagamento dello spirito che si era messo in cammino. L’abbandono “al canto del vento / Voce del mare”: la donna dell’isola, di qualunque isola come luogo circoscritto e separato, è qui disegnata con immagini ricche di un vissuto sacrificale, fino ad essere Persona: l’onda la fa apparire mutevole, ma non è lei che si muove.
Non manca la conclusione di questa musica in acqua: è il Post Scriptum, quel Do che arriva dopo la scalata delle sette note, e fa riprendere il ciclo, evoca resurrezione e speranza. Caffè e brioche sono un riferimento mattiniero che distribuisce consolazione, e però l’intreccio di significati si compie oltre lo stato sensibile, quando l’orizzonte della propria interiorità non conosce né alto né basso, quando l’Iomare percepisce padronanza di dimensioni e stati di coscienza.

Manrico Murzi

Genova, 4 giugno 2004

I O M A R E




E Iddio disse: “Si radunino tutte le acque,
che sono sotto il cielo, in un sol luogo
e apparisca l’asciutto”. E così fu.
E Iddio chiamò l’asciutto “Terra”
e la raccolta delle acque chiamò “Mari”.
(Genesi I, 9-10)







PRIMO MARE



Grumi di sangue si sciolgono
nel tempio del mio tempo
e il vento di ponente mi trasporta
tra i capelli spettinati
di bambina in posa su una bitta.

Cerco me, nel mio mare,
per capire chi io sia,
come, perché e se vorrei
modificare la cornice del mio seno.


*


Ciondola nel vuoto dondolandosi,
ruota il collo, il pensiero incosciente,
cerca con lo sguardo un ingranaggio
che lo spogli da apatia sonnolente
per percorrere sentieri appena scorti;
nessun tornado o nebbia o pioggia,
né nube o sole o tuono,
al limitare
solo aria immobile e pallida,
e lui paziente
che attende l’incontro
con un soffio di brezza,
energetico miele di eucalipto,
per godere con amplesso lussurioso
e discendere al suo braccio,
al calare delle ombre, sopra il cosmo.


*


Il “nonnino” ha ritrattato la confessione.
Stamani, negando ogni addebito, ha subito dichiarato di aver ammesso la propria colpevolezza solo perché stanco dopo sei giorni di continui interrogatori.
Presidente: “Ma perché allora avete confessato?”.
Imputato: “Ho fatto soltanto ciò che la questura mi chiedeva”.
Presidente: “È vero che voi circuivate l’inserviente altoatesina Giovanna F.?”.
Imputato: “Alla mia età sto in piedi per miracolo”.
Riferendosi ai suoi precedenti, l’imputato ha detto di non essere mai stato un disertore austriaco: “Ho pagato tutti i miei errori; sono venuto in Italia e vi sono rimasto perché di sentimenti italiani. Sono come Cesare Battisti”.
(Il “Giallo del Caffellatte”, tratto da “Il Telegrafo” del 26 novembre 1963)




*


È l’ora di ritirarsi nella foschia marina
per disinfettare le ferite,
sfogliare il libro del presente,
fotografarlo a debita distanza.

È l’ora di riabbracciare l’anima
per recuperarne il fulcro,
volgersi verso un segno, un altro sogno
e rientrare, a viva voce, nella vita.


E di nuovo dalla rupe di Lèucade nel bianco mare mi tuffo,ubriaco d’amore.( Anacreonte versi 31/376 P.)


L’oggi irradia la sua pelle chiara
ancor calda di letargo breve,
la pettina, la lava, l’ara tutta
l’attira a sé lasciandole una benda
a celare quanto a lei sta preparando,

il presente cala
i quadri del prossimo futuro,
e lei, raccolta la sua essenza, s’avvia
a penetrare la trama del destino.


*


Cadevano petali in seta su petali veri
mentre cantava il poeta i suoi versi.

- Che strano vecchio - pensava la bimba
ascoltando il poeta dagli occhi velati.

Poi riprese a giocare in un campo,
e il vento disfece il suo ciuffo
a pochi metri dal mare di maggio.

Marchiava la valle, la voce profonda
del vecchio poeta ormai cieco.

Cadevano petali in seta su petali veri
mentre cantava il poeta i suoi versi.


*


Immersa in versi
sconosciuti,
è strana questa sera
in cui l’aria rarefatta
non lascia trasparire
che ombre opache
ancor più incerte
delle sagome grigie
proiettate dai bambini
sui muri sbiaditi.
Chiudo gli occhi
e attendo i tuoi versi
che poi non sono miei
non sono rivolti a me,
ma parlano di me
senza saperlo


per ritrovare nell’eco del ricordo
l’antico mare amniotico perduto
un inconscio ritorno vagheggiato
ad età inconsapevoli e felici.(F. Berardi)

SECONDO MARE




L’infanzia ho sotterrato/ Nel fondo delle notti/ E ora, spada invisibile,/ Mi separa da tutto.
(G. Ungaretti)



Il mio paese era senza chiesa, privo di negozi, con quattro palazzi principali dai nomi e dagli stili altisonanti: prima navetta, scoglio di sale, piramide, seconda navetta; aveva una piscina azzurra nascosta da alte rocce e conosciuta solo dai paesani.

D ’inverno, solitaria, vi coglievo alghe d’ogni varietà
e d’estate mi cibavo di patelle; discese scivolose
portavano a raggiungerlo via mare e lì trovavo amici
a volontà .

Lo osservo oggi, ma scorgo solo un arcipelago di
scogli.

Eppure scioglie la lingua al melograno,



deterge l’aria linda isolana,
la inonda di iodio,
permea e modella l’intimo
il vento forte dell’alba buia.

Dietro le bacche ancora verdi
del cespuglio di agrifoglio
fiuto una presenza,
la avverto nei bulbi dei crocus
in procinto di colorare
la grigia stagione.

Rischiarato dal primo raggio,
vedo sorridere il tuo profilo;
non so chi tu sia,
non so dove tu sia,
non so come tu sia,
respiro il tuo odore
e mi rallegro




nella casa del vento, sul tetto marino, dove sale dal
basso il salmastro, dove accanto al faro a forma di
stella scruto a ovest al di là del canale.



*



I genovesi non potranno più ave re nei bar la scorzetta di limone o d’arancia nell’ aperitivo. Una recente ordinanza del sindaco vieta nei pubblici esercizi - bar, ristoranti, osterie, mescite - l’uso di agrumi senza la preventiva asportazione della scorza e l’uso delle scorze in alcune bevande. Motivo del provvedimento: evitare danni alla salute che potrebbero derivare dalla possibile presenza sulla scorza di agrumi di difenile, ortofenilfenolo e altre sostanze chimiche usate per conservare gli agrumi stessi. Per la tranquillità del consumatore è stato precisato che gli agrumi - purché sbucciati - possono essere consumati senza pregiudizio alcuno. (“Pericolosa la scorza di limone nell’aperitivo?”, tratto da “Il Telegrafo” del 1º dicembre 1963)



*




La bimba, ferita ante tempo, ascoltava la nonna con la treccia sul capo fugare i fantasmi nell’afa di agosto:



Livorno, la vecchia, ode ancora
sferragliare l’anziano trenino.
Tra ali d’asfalto portava al mare
nonne e bambini, uomini e donne
seduti su legno,
tra odori di fumo tagliante l’azzurro.

Sentiero sassoso,
tra il verde dorato, ormai arso dal sole,
conduceva al ristoro:
sabbia rovente frescura di mare,
spuma all’arancia,

un pezzo di schiaccia salata e sabbiosa,
all’ombra odorante di legnosa cabina.



*




Mai ho visto una prima volta il mare, di pochi giorni mi posarono sull’onde.
Da allora stiamo assieme, a naso in su, a scrutare l’orizzonte, in compagnia dei venti in alta uniforme, dei cavalloni bianchi, dei temporali e della malinconica
pioggia sullo specchio acquoso di bonaccia.



Provò la ragazza, seduta sulla foglia
verde e frastagliata della favola,
a fuggire con la fantasia dalla famiglia,
a volare sino al fuoco artificiale
che deflagra,
svelta afferrando, con scatto felino,
una fulgida fiamma
a rischiarare e scaldare l’antro cavo
del suo ventre.



Felice chi, perduto nell’amore, non conosce il mare,/e non gli importa della notte che cala sulle onde.(Teognide, versi 1375-1376)



*



Il libeccio si alzava per portare un amore innocente,
arroccato per ore sul vento, a vedere le intrepide
onde mangiare la spiaggia; nel fragore dello
scontro frontale, gocce salmastre baciavano i seni.



Stringono i nodi irrisolti dell’anima,
pungono i ricci la pianta dei piedi,

calpesto la spuma dell’onda
a lavare le ali;

sulla barca lascio, a ricordo,
una calza di seta

intrisa di me,
ma il moto continuo allenta la malinconia,
che attanaglia di sera le viscere;

monotono ritmo rilassa le membra,
consente una pausa all’animo scosso
da desideri sepolti, da memorie sfumate.

Nella culla dell’acqua si calma il malessere
in moto, che viene e va come fosse marea.



Non più quel tempo.Varcano ora il muro/ rapidi voli obliqui,la discesa/ di tutto non s’arresta e si confonde/ sulla proda scoscesa anche lo scoglio/ che ti portò primo sull’onde.( E.Montale)

mercoledì 4 aprile 2007


TERZO MARE



Te sola, fra tante ch’io son stata,/ sola te non ricordo quale m’appari/ in questa di me remota immagine./ Così ero? Ancora in specchi non ti miravi,/ sapere non potevo se m’assomigliavi./ E or s’incontrano i nostri sguardi./ Come seria sei, piccina e assorta,/ parrebbe quasi veramente tu vedessi /quella che oggi io sono. (S. Aleramo )



In mondi sconosciuti a ricercarsi,
sulla coda marina d’invernata ribelle,
oltre la carovana dell’onde,
sbirciava la lotta dei venti
con i velenosi oleandri,
nel vortice schiumoso scivolava,
tra le braccia di eterne correnti risaliva.



*



Con le frange alla gonna, in sella a un gabbiano, snobbava l’atlante, atterrava nell’orbe irreale e reale dello spazio mentale. In preda all’inchiostro, viaggiava inebriata nel globo, infine, ubriaca di tanta fantastica trama lisciava la gonna e le frange, in sella a un gabbiano decollava e rientrava nel mondo.

L’attacco contro lo Stato ha raggiunto il suo culmine. Moro rapito dalle Brigate Rosse. Falciati a raffiche di mitra cinque uomini della scorta. Un auto targata CD ha tagliato la strada alla vettura del leader democristiano, poi i terroristi hanno aperto il fuoco. Convocato il Consiglio dei Ministri in seduta straordinaria, rinviato il dibattito parlamentare sulla fiducia al nuovo governo. Rabbia e sgomento nel paese. (edizione straordinaria di “Repubblica” 16 marzo 1978)

Dimenticati per un giorno i guai del Paese. Per Carlo e Diana sposi si ferma l’Inghilterra. 200.000 lire un posto
finestra.( da “ La Stampa” del 29 luglio 1981)



*



Tre ragazze in vestaglia
la sera spiluccavano, al buio,
testi indigesti e vino pugliese.

La bionda aspirava al piacere,
la mora all’amore di un nero,
la rossa a una fiamma soffusa.

Grattavano i muri coi palmi,
rapinavano i giorni
nel vecchio palazzo sul corso.


Stillavo liquori dalle foglie
del mirto selvatico,
con le sue fluorescenze feci ghirlanda
e sulla zolla nuda ramificai vitigni.


Impazzava la luce del giorno,
pesci azzurri sprizzavano
gocce d’argento.

*

Tra i gabbiani intenti a rimestare
nella via angolare
che amoreggia con il sole,

oscillava nell’acqua
ad osservare il marinaio.

Gettate le parole al vento di scirocco,
volava verso oriente,

pane e acciughe bastavano,
a virare a nuove terre.

Mollate le cime, in solitario,
annientava il panico
timore dell’ignoto;

da lei si staccavano pensieri
che in lei tornavano,
puliti dalle onde,
sotto forma di cristalli.

*

Tra gli aghi di pino,
nell’ottobre marino,
un’onda di luce
vagava;

si scaldavano gli arti
al tepore
simile a un talamo,
schiarito dalla brace
racchiusa nei teli;

la luce pulsava, oscillava
a tratteggiare profilo velato;

le labbra si chinavano
attratte dal notturno miraggio
alla bocca sfumata,

come falena che brancola
a cogliere raggio di luce;
non le fu dato raggiungere
l’invisibile traccia

e, sino al prossimo spicchio
di chiaro, riponeva e
ripiegava se stessa.

*

Poi, sul ponte, a prua,
nel porto oltre lo stretto,

di unicità vestita,
nella notte autunnale,

l’ago puntava allo scoglio.

Vibrava la nave che viaggiava nel buio.

Con il suo tutto tornava nell’isola.



Ho una nave segreta dentro al corpo,/ una nave dai mille usi,/ora zattera ora campana/ e ora solo filigrana. (A. Merini)